"Là, dove il mare...", da «Per una strada» di Emanuele Marcuccio
Là, dove il mare…[1]
Là, dove il mare è profondo,
fondo, fondo;
là, dove le onde si rincorrono,
corrono, corrono:
e le luci si disperdono
e lo sguardo si dirada,
si fa chiaro;
e l’amor mi raggiunge
col suo dolce sovvenir.
Là, dove il mondo ti dimentica;
là, dove il sole ti colpisce
col suo chiaror;
là, dove un lampo ti pervade
col suo baglior,
e in un abbraccio ti rapisce.
Là, dove l’oblio ti sommerge
con la sua luna;
là, dove il mondo ti abbandona
con la sua fine:
là voglio riposare,
e perdermi rapito
nel Sole: nell’amore infinito.
(19/10/2001)
Qui potrete ascoltarmi leggerla.
Menzione d'onore (nella sez. B) al I premio internazionale d'arte "Europclub" Messina - Taormina 2010, a quasi un decennio dalla sua scrittura.
Immagine di sfondo e per gentile concessione del suo autore, da: http://vitaperimmagini.blogspot.com/2007/09/spettatori-al-tramonto.html
Commento critico di Luciano Domenighini[2]
Se per caso non riuscite a visualizzarlo, potrete vederlo cliccando qui.
[1] Edita in Marcuccio, Emanuele, Per una strada, SBC Edizioni, 2009, p. 96.
[2] Dal saggio critico di Luciano Domenighini su Per una strada.
Il mare del nostro dolore, il mare dei nostri pensieri, il mare della nostra anima, il mare dei nostri sogni...
Il mare che a volte ci intrappola in un vortice di problemi e di pensieri, il mare che in un maremoto ci sbalza via dalle nostre sicurezze e come un ladro ci depreda.
Come scrivo in un mio aforisma, “Il dolore è come il mare, nel suo indistinto ondeggiare e rifluire incessante".
Se fate attenzione, come le onde procede la lettura di questa poesia, come le onde del mare.
Ad ogni inizio di verso le onde si alzano, toccano la riva, ad ogni fine di verso le onde si abbassano, si allontanano dalla riva; tutto in un ciclico movimento che trova il suo compimento e il suo riposo in Dio: nel Sole e amore infinito.
E pensare che, quando la scrissi, mi trovavo da solo nel cuore della notte, in casa, il mare si agitava tempestoso nella mia anima e, con le sue onde che baciavano la riva non mi faceva compagnia, né rapiva la mia vista lo spettacolo di un meraviglioso tramonto. [N.d.A.]
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È una composizione di ventidue versi a metro libero, di tre periodi, ad andamento altalenante, automatico, poggiato su sette iterazioni (là, dove...) legate da un polisindeto di sei elementi, che si apre con una doppia geminazione al secondo e al quarto “fondo, fondo”, “corrono, corrono” in rima derivativa sui versi precedenti. Un’apocope chiude il primo periodo al nono verso (sovvenir) e l’apocope si ripresenta al secondo periodo sul dodicesimo (chiaror) e quattordicesimo (baglior) con effetto liquido, dissonante.
L’ultimo periodo ha toni visionari ma luminosi, di paradisiaca, solare apocalisse.
Anche qui Marcuccio dimostra sicuro istinto poetico.
È la poesia dove meglio si palesa l’attitudine del poeta a ricorrere alle figure iterative e la sua abilità nell’elaborarle. In questi ventidue versi Marcuccio intesse un ordito ammirevole, disponendo in alternanza una triplice sequenza di versi anaforici “Là, dove” (sette volte), “col(n)” (cinque volte), “e” (cinque volte), con due versi (secondo e quarto) di pura geminatio, e il verso finale che raddoppia lo stato in luogo. Straordinaria la sequenza modulativa delle forme verbali dove, per tredici volte, si alternano verbi attivi, mobili, a verbi sottrattivi e regressivi (“rincorrono”, “corrono”, “disperdono”, “dirada”, “raggiunge”, “dimentica”, “colpisce”, “pervade”, rapisce”, “sommerge”, “abbandona”), fino alla sequenza finale in doppio infinito (“voglio riposare/ e perdermi rapito”) che condensa e riassume il senso, il “quid” poetico della lirica.
Il magistrale impiego di queste figure e moduli conferisce alla lirica un andamento cullante, ascendente, perfettamente equilibrato.
Con la traduzione in lingua siciliana, a cura di Alessio Patti