“Colpa, espiazione e felicità impossibile nel romanzo «Cenere» di Grazia Deledda”, saggio di Graziella Enna – Contest Letterario online Grazia Deledda 150 – PLC
Contest Letterario online Grazia Deledda 150 – PLC
(Critica Letteraria)
Colpa, espiazione e felicità impossibile
nel romanzo «Cenere» di Grazia Deledda
Saggio di Graziella Enna
«[...] tutto era cenere: la vita, la morte, l’uomo; il destino stesso che la produceva.»
(Grazia Deledda, Cenere)
Nel romanzo Cenere[1], emerge chiaramente l’opposizione dialettica colpa-espiazione che genera l’impossibilità di cancellare la taccia di un peccato che i personaggi si portano dietro dalla nascita. Nonostante il faticoso percorso di redenzione che essi compiono per affrancarsi ne rimangono inesorabilmente sconfitti. Iniziale protagonista dell’opera è Olì (Rosalia) Derios, quindicenne orfana che vive col padre e i due fratellini in una casa cantoniera di campagna e conduce una vita di stenti e sacrifici. Una svolta sembra profilarsi quando viene illusa dal giovane Anania con sogni e progetti inverosimili che alimentano l’inconsapevole bovarismo della ragazza. Stregata dalla malia d’amore, Olì rimane incinta. L’amore è sempre vissuto in modo peccaminoso e porta spesso dolore nelle opere deleddiane. Cacciata dal padre, è condotta da Anania, che ha già una moglie, a Fonni, presso la vedova di un bandito che vive in ristrettezze col figlioletto. Lì partorisce un bimbo cui dà lo stesso nome del padre. Il motto sentenzioso della vedova è “siamo nati per soffrire” che diventa la cifra del romanzo e ne rispecchia l’essenza e la visione fatalistica. Olì in seguito a un litigio con la povera ospite, se ne va da Fonni a Nuoro col figlio Anania e, dopo avergli appeso al collo uno strano sacchettino di broccato verde che gli intima di non togliere mai, lo lascia al padre e sparisce. Si invertono dunque i ruoli, ma l’abbandono diventa duplice, prima da parte di un genitore e poi dall’altro. Come a Fonni agognava di fuggire a Nuoro, ora Anania non desidera altro che intraprendere un viaggio in cerca di sua madre. A questo punto inizia il romanzo di formazione di Anania, con una nuova vita in condizioni modeste ma decorose, supportato da alcune figure positive, mentre il padre è sempre distaccato e lontano, in cuor suo afflitto dalla colpa commessa nell’ingannare ingiustamente l’ingenua Olì. Per redimersi e per espiare il suo peccato, alleva il figlio e lo riconosce legalmente. Tuttavia la madre è onnipresente nella mente del ragazzo e ne diviene il rovello, tanto che egli non si dà pace. Intorno al mulino dove il padre lavora, stagionalmente, si muove la vita degli abitanti del quartiere, un’umanità varia e in parte derelitta fatta di personaggi meschini e violenti, mendicanti cenciosi, malati sofferenti, ubriaconi. Tutti sono descritti in modo oggettivo e calati in una realtà in cui persino le pietre dei muri sbrecciati, i tetti fatiscenti delle casupole, le erbacce delle stradine rocciose sembrano urlare al cielo il loro dolore e le loro miserie. Tuttavia, i personaggi deleddiani, pur nel loro estremo realismo, appaiono al lettore in una dimensione temporale indefinita, in un eterno immobilismo socio-culturale, tagliati fuori dagli eventi storici, ripiegati nei propri drammi personali e in uno stato di accettazione rassegnata della propria indigenza. Anania vuole distaccarsi da quel mondo e, grazie alla generosità del padrino, ha la possibilità di frequentare la scuola. Crescendo, acquista coscienza del bene e del male, cosa che gli richiama inevitabilmente la sua triste condizione di figlio di madre perduta per cui teme di essere escluso socialmente. Comincia a chiedersi cosa lo trattenga presso suo padre che non è sordido come tanti altri ma ha portato alla rovina sua madre. Anania conosce Margherita, la figlia del suo benefattore per la quale prova un’adorazione estatica che si muta in amore. Il disagio derivante dai suoi oscuri natali si acuisce, benché il sentimento appena sbocciato e corrisposto lo aiuti ad alleggerire il proprio cruccio. La sua vita subisce un altro cambiamento positivo: può studiare a Cagliari. In un suo personale “addio monti” saluta Nuoro, il suo paesaggio naturale e i monti che la circondano. La natura descritta nel romanzo ora con toni elegiaci, ora con accenti gioiosi, riflette sempre ogni sfumatura dello stato d’animo del protagonista. Anania vuole riscattarsi socialmente per essere degno di Margherita e vive animato dalla gioia che l’amore gli dona, tutta la realtà si trasfigura ai propri occhi, ma l’ombra del suo passato incombe impietosa. Dopo aver cercato ovunque la madre, vuole tentare un’ultima possibilità, recarsi a Fonni dalla vedova che l’aveva accolto infante, grazie alla quale la ritrova in condizioni miserevoli. Finalmente avviene l’incontro ma non è come aveva sperato: «Né l’uno né l’altra pensarono neppure a stendersi la mano, neppure a salutarsi: tutto un mondo di dolore e di errore era fra loro e li divideva inesorabilmente, come due mortali nemici».
Anania prova una rabbia incontenibile, anche se in cuor suo le vuole restituire bene per male. Non si astiene tuttavia da un’aspra reprimenda. Olì, già informata sulla vita del figlio, vuole che la dimentichi e si sposi, ma Anania non può farlo a costo di sacrificare per sempre la sua felicità. Margherita deve sapere tutto di lui, anche di avere una madre derelitta e stracciona comunque degna di essere redenta. Certo della sua comprensione, la rende edotta ma lei non vuole e non può capire. Tutto l’amore immenso del giovane si muta all’improvviso in indifferenza. Commette il peccato di empia ὕβρις (hýbris), insultando e maltrattando sua madre senza tributarle il giusto e dovuto rispetto. Dal canto suo, per liberare suo figlio dalla sua scomoda presenza foriera di vergogna, la donna ha in serbo una decisione tragica dettata da un’imperiosa volontà di pagarne il fio. Troppo tardi Anania giunge per salvarla e si ritrova tra le mani solo il vecchio sacchettino che un giorno lei gli aveva appeso al collo: non contiene che una pietruzza e cenere scura. Egli capisce che da quel misero mucchietto di cenere deve trovare la forza per rinascere, come accade a una piccola scintilla che a volte vi rimane nascosta. Ha ormai perso tutto ma davanti alle spoglie della persona che aveva sofferto tutti i mali del mondo, sa di dover trovare la motivazione per continuare a vivere.
Graziella Enna
Bibliografia
Deledda Grazia, Cenere, Milano, Mondadori, 1977.
Il presente post con saggio breve di Graziella Enna inviatoci il 7 dicembre scorso, si inserisce all’interno dell’iniziativa lanciata da questo blog denominata “Contest Letterario online Grazia Deledda 150 – PLC” il 18 dicembre 2021 dopo l’adesione del curatore del blog Emanuele Marcuccio al comitato celebrativo dei 150 anni dalla nascita di Grazia Deledda, costituito dalla Enciclopedia poetica online “WikiPoesia” il 10 dicembre 2021 che inaugurava l’Anno Deleddiano. I termini per partecipare al contest deleddiano sono scaduti il 10 dicembre 2022, giorno di conclusione dell’Anno Deleddiano.
/image%2F0090615%2F20221219%2Fob_97ed84_contest-grazia-deledda-locandina-reali.jpg)
Saggio pubblicato su autorizzazione dell’autrice Graziella Enna che ha dichiarato, sotto la propria responsabilità, di essere proprietaria dei diritti sullo stesso e che la pubblicazione su questo blog è consentita dietro la propria autorizzazione. La pubblicazione – in forma integrale o di stralci – senza corretta attribuzione non è consentita, in assenza del permesso dell’autrice.
Immagine a corredo pubblicata a fini esclusivamente illustrativi e culturali e non commerciali.
Graziella Enna (Oristano, 1969), laureatasi in Lettere Classiche presso l’Università degli Studi di Cagliari, è docente di lettere nei licei dal 1997. Da sempre lettrice entusiasta, ha una particolare inclinazione verso la critica letteraria, l’analisi testuale e intertestuale. Collabora da qualche anno con le riviste culturali online: “L’Ottavo” di Viterbo e “Euterpe” di Jesi (AN), nelle quali ha pubblicato saggi, recensioni, letture critiche e percorsi letterari. Dal 2022 fa parte della giuria del premio nazionale di poesia “L’arte in versi” dell’associazione culturale Euterpe APS di Jesi. Tra i vari riconoscimenti assegnati: nel 2019 il primo premio nella sezione “Saggistica” del concorso nazionale “L’arte in versi” indetto dall’Associazione culturale “Euterpe” di Jesi; nel 2020 il terzo posto nella sezione “Saggio sul mondo classico” del concorso “Paesaggio interiore” ideato dalla scrittrice Francesca Innocenzi; nel 2022 il primo premio assoluto del suddetto concorso nella sezione “Saggio sul mondo classico”.
[1] Pubblicato a puntate sulla Nuova antologia nel 1903, a Roma nel 1904 e infine dall’editore Treves nel 1910, Cenere contribuì certamente all’assegnazione del premio Nobel alla scrittrice.