"Seduzione e sesso in letteratura", un saggio a cura di Lucia Bonanni
SEDUZIONE E SESSO IN LETTERATURA1
Analisi e confronto di alcune opere letterarie
«Come una grande scure,
come uno spaccalegna, mi ha colpito
Eros. E la ferita mi ha lavato
in un torrente gonfio di tempesta.»
Anacreonte (VI sec. a.C.)
Alla voce “sedurre” il vocabolario riporta: indurre con lusinghe e promesse all’unione sessuale; avvincere, allettare, esercitando un fascino irresistibile; distogliere dal bene con lusinghe o allettamenti mentre per “seduzione” spiega la capacità di suscitare un’attrazione viva e irresistibile.
In questo mio commento cercherò di prendere in esame alcune opere letterarie, fornendo come chiave di lettura quella della seduzione e del sesso.
“Dipende da noi la sorte della nostra città” afferma Lisistrata per incitare le altre donne alla rivolta contro i loro uomini. Nell’opera di Aristofane l’impalcatura drammaturgica più che nella trama è ravvisabile nell’oggetto del desiderio che sviluppa la forma del ricatto. Lisistrata, ben consapevole della forza presente nel sesso, convince le compagne a rifiutarsi ai loro mariti: o rinunciare al piacere oppure attuare una politica conciliatrice. «[M]a noi diremo di no, senza degnarli di un’occhiata, e allora vedrete che concluderanno la pace in tutta fretta». La «Lisistrata» oltre che ad essere la prima commedia greca con protagonista femminile, è anche il primo lavoro che affronta l’emarginazione della donna senza giustificare la personalità fortemente eroica. L’obiettivo perseguito dalle ateniesi sottolinea la volontà di cambiare il mondo e mette in evidenza il controllo della vita sociale che è espresso nella presa dell’Acropoli. «Su, balzate in alto, onorate questa vittoria. Evoè!». La riconciliazione è celebrata con un banchetto rituale, scandito con gli inviti del Coro e la Pace permette e recupera la felicità. “Io gli voglio bene, certo, ma è lui che non vuole lasciarsene volere”, la frase di Mirrina, una delle donne in rivolta, ha un valore provocatorio e tende ad acuire la tensione e ad affermare una verità, cioè che l’uomo nega l’amore con la sua ostinazione nel voler fare la guerra. La ragione, l’astuzia, le modalità del desiderio non oppongono due forme di passione, ma “solo uno sguardo limpido e uno annebbiato, uno miope e uno lungimirante”. Lisistrata con un espediente ben calibrato inventa l’oracolo che fortifica la resistenza delle donne; è un atto manipolatorio, finalizzato al perseguimento del fine.
Alle “vesti cimberiche che cascano a pennello” e dalle quali Lisistrata si aspetta la salvezza, può essere paragonato il vestito verde che indossa Adela, personaggio indiscusso de «La casa di Bernarda Alba» di F. G. Lorca. “Si è messa l’abito verde che si era fatta per il suo compleanno ed è andata in cortile”, “Mi piaceva tanto quel vestito. Pensavo di metterlo il giorno in cui si va alla noria a mangiare il cocomero. Non ce ne sarebbe stato uno uguale”. Adela è la giovinezza, è la gioia di vivere, ma è anche la disubbidienza, la ribellione, la sovversione e l’opposizione al potere, costituito dalla figura di Bernarda. Nella frase “il mio corpo sarà di chi amo” esprime tutta la sua palpitante vitalità e tutto il desiderio di unirsi all’uomo che ama. Quella a cui va incontro Adela è una tragedia di sangue e di morte, generata da un assetto sociale immobile e immutabile che impone leggi durissime e contro il quale si infrange ogni anelito di ribellione. “È morta vergine. Silenzio!”, intima Bernarda alla scoperta del corpo esanime della ragazza. “È questo il ventaglio da dare a una vedova? Dammene uno nero”. Già da queste prime battute in cui Adela porge alla madre un ventaglio a fiori rossi e verdi, si intuisce il dramma che la giovane donna vive e che la porterà al suicidio. “Guardando i suoi occhi mi sembra di bere il suo sangue lentamente”, risponde Adela per dichiarare senza nessun tipo di reticenza il suo amore per Pepe il Romano, promesso sposo di quella sorella che dovrebbe essere felice, ma che invece non lo è. “E tu che ci sei andata a fare al portone?”, “Volevo vedere la luna nuova”. La ragazza aspetta trepidante il suo innamorato con il quale si incontra ogni notte presso “la finestra aperta”. “Va’ a prendere quattromila bengala e mettili attorno al cortile. Nessuno potrà impedire quello che deve succedere”, replica imperterrita la ragazza a La Poncia, la serva, “una vecchia scrofa” che va frugando nelle faccende altrui e che cerca di dissuaderla dall’intrattenere la relazione amorosa con Pepe. “Io sentivo avvicinarsi la tempesta, ma non credevo che sarebbe esplosa così presto”, e la tempesta esplode, deflagra, si apre come un vaso di Pandora e come lava che divampa investe la casa di Bernarda Alba. La investe con tormenti e cattive insinuazioni, con silenzi obbligati e forzate reticenze. “Lui mi vuole per la sua casa”, “Ho visto come ti abbracciava”. Non esiste amore fraterno tra le due sorelle che si contendono l’amore dello stesso uomo e sarà Adela che agli occhi della madre, mujer dominante anche negli affetti, cesserà di essere figlia e si trasformerà in nemica. La colpa non viene attribuita a Pepe il Romano perché in fin dei conti “un uomo è un uomo”, ma ad Adela che riesce a conquistarlo con gaia e seducente sensualità. È ancora Bernarda che si scaglia furiosa verso la ragazza, “Quello è il letto delle malefemmine” le dice con “urli da caserma”, quando Martirio, additando la sorella, le fa notare la sua sottoveste piena di paglia. Il gesto di Adela che spezza in due il bastone della madre, è emblema di ribellione e rivela il contrasto tra la passione e la coscienza del suo sentimento d’amore. Se in Lisistrata la lusinga si volge in inganno, in Adela è entusiasmo che attrae e conquista.
«Quando leggemmo il desiato riso/ esser baciato da cotanto amante,/ questi che da me non fia diviso/ la bocca mi baciò tutto tremante». Alla condizione del suicidio di Adela che con tale gesto attua la separazione dello spirito dal corpo, restando così legata al cuore di Pepe, corrisponde il conflitto-peccato di Paolo e Francesca che può raccontare la sua storia e tornare ad essere donna nel momento in cui le sue parole ripetono il suo amore che si eterna e si rinforza nei versi dal poeta. al contrario del sentimento di Adela che viene zittito dal sipario di silenzio che Bernarda fa calare sulla propria casa.
“Quel letto pronto, le orchidee e i narcisi [...] mentre sostavo un momento nella camera in penombra era proprio come se avessi trascorso un’intera notte d’amore” così scrive Etty Hillesum nel suo Diario. Quella che vive Etty è una passione travolgente, dettata da forte e lucida attrazione culturale e spirituale che la porta ad intrattenere una relazione d’amore viva e vitale. La seduzione è arma affilata in mano alla donna ed è ancor più sottile e avvincente, se la capacità di suscitare interesse deriva da passione intellettuale più che dalla fisicità. Ecco allora che il corpo diviene punto di contatto di una spiritualità che è energia emozionale, calda e affettuosa.
“Il mio cuore è vicino a te, anche se il mio corpo è lontano. Se non puoi vederlo, non devi far altro che scendere nel tuo cuore e lì troverai il mio” sono le parole che Bernardo di Chiaravalle rivolge all’amica Ermengarda nel suo epistolario. Scopo della lettera che il monaco invia alla contessa è quello di rivelare tutto l’affetto per custodire e coltivare l’amicizia che li lega. È uno scritto pervaso di tenerezza e reciprocità in cui il sentimento è invito alla vita, castità di emozione e piacere che nasce dalla relazione amicale. Nello sguardo dell’amico c’è la conferma che sei amato e che sai amare perché l’amico è colui che fa scoprire il segreto profondo del nostro essere. L’amicizia, infatti, è campo aperto di finito e infinito; è un insieme in cui si mescolano ἔρως (eros), φιλία (philía), ἀγάπη (agàpe) per un incontro di suadente spiritualità e colui che si avventura tra eros e agàpe, sceglie la castità che è amore senza possesso.
In parallelo alle vicenda di Adela si possono citare anche le opere della Deledda, «Canne al vento», «Elias Portolu», «L’edera» in cui l’autrice pone in evidenza i conflitti interiori dell’individuo, scatenati dagli istinti e dalle passioni con le “oscure pulsioni peccaminose”, dovute soprattutto all’attrazione sessuale. Il peccato sensuale è visto come rottura di norme ben definite, cedimento agli istinti e violazione dei doveri. Nella Deledda come pure nelle opre di Verga, il sesso può incrinare i paradigmi della società, la famiglia, il matrimonio, il sacerdozio e “la tentazione non è soltanto la provocazione dei sensi, ma la prova dell’anima, il fatto decisivo e capitale della vita”. Quella di Elias è la vicenda di un giovane che dopo aver scontato anni di carcere, torna al paese e si innamora di Maddalena, già fidanzata col fratello. Dopo il matrimonio della ragazza la relazione amorosa tra Elias e Maddalena continua per anni e si protrae anche dopo che Elias si è fatto prete per allontanarsi e espiare la colpa. La battaglia morale del giovane si staglia nella semplicità e nel silenzio del paesaggio a rappresentare “la lotta che si combatte nell’anima del protagonista tra bene e male”. Nella vita pastorale descritta dalla Deledda non si riscontra “l’eleganza arcaica e decorativa” de «La figlia di Jorio» in cui Mila, che ha fama di strega e prostituta, si rifugia in casa di Aligi che per difendere la donna è costretto ad uccidere il padre. Nel “poema di sangue e di lussuria” del d’Annunzio si accentua il mito delle superfemmine fatali in cui l’autore dà libero sfogo a tutto il suo lirismo surreale e onirico.
Nel romanzo «Doppio sogno» A. Schnitzler esamina e descrive l’attrazione per un altro e i turbamenti che derivano dalla tentazione all’infedeltà e che incrinano il rapporto di coppia. Albertine e Fridolin si raccontano gli episodi che hanno vissuto ad un ballo; lui si è lasciato andare alle lusinghe di due signore in domino rosso mentre lei si è lasciata corteggiare da un cavaliere sconosciuto. Le avventure dei due coniugi, speculari e simmetriche, sembrano negare una reciproca gelosia che nelle loro parole ne emerge in gran quantità. La differenza consiste nel fatto che l’uomo le avventure le vive nella vita reale mentre la donna le vive soltanto in sogno. L’elemento conduttore del sesso immaginato e cercato e mai portato a compimento, anticipa l’attualità del sesso virtuale dai cartelloni pubblicitari a vari siti internet. “Non si può ipotecare il futuro” è la frase pronunciata da Albertine al rientro del marito alle quattro del mattino in quanto dal suo sogno emerge il desiderio del tradimento e il dialogo tra i due che chiude la novella segna l’ambiguo confine tra sogno e realtà per cui non è casuale la descrizione del ballo in maschera e quello del mascheramento dei personaggi.
Con occhio lucido e attento, perizia di particolari e scrupolosa competenza letteraria Lorenzo Spurio nel racconto “Quelle conferenze”, inserito nel testo «La cucina arancione», mette in luce uno dei tanti casi di adulterio in cui si ravvisano le medesime dinamiche di coppia esaminate da Schnitzler in Doppio sogno. Da una parte c’è una casalinga abitudinaria e dall’altra un “rispettabile docente universitario” che si inventa cicli di conferenze in altri atenei per incontrarsi con l’amante di turno. “Suo marito è vigile e si sta riprendendo [...] Nulla di grave. Ma è necessario il ricovero per questa notte [...] ci ha pregato insistentemente di non avvisarla [...]”. Quella telefonata inattesa spezza la “tranquillità abitudinaria” di Maria Giulia che è solita occupare le sue ore di relax con “le sue soap preferite”. Quando riaggancia il telefono e chiude il televisore, “un ammasso di pensieri” la fa giungere alla conclusione che suo marito non le ha detto la verità. “ma si può confondere Grosseto con Roma? Non di certo”. Ed è così che dopo tanti anni di matrimonio che la donna deve rendersi conto che quella di suo marito è sempre stata una presa in giro. “Utilizzare la cultura e il suo lavoro per coprire simili immoralità” pena tra sé la donna, “assalita da una rabbia cieca” mentre nell’idea matura una triste vendetta. Con l’atteggiamento di sempre accoglie l’uomo, quando si presenta a casa con “un colorito leggermente spento” e il viso che mostra segni di stanchezza. “Un giorno se ti va ci andiamo. Potrebbe piacerti”, “Dovrai prenderti qualche giorno, però, per… motivi familiari” E la voragine che si era aperta tra i due spalanca le fauci e il professor Moretti è costretto a caricare i bagagli sulla sua macchina. La crudeltà adulterina dell’uomo sta nell’aver approfittato della semplicità intellettuale e culturale della moglie e anche in questo caso la forza del sesso si connota nel ricatto morale e nell’inganno, comportamenti che infrangono il patto d’amore e vanno a ledere la dignità dell’altro.
Il sesso come devianza e perversione è narrato da Lorenzo Spurio nel racconto “La cucina arancione” (op. cit.). Nella frase di incipit l’autore lascia già presagire quali saranno gli sviluppi della storia. “Ogni qualvolta che facevamo l’amore, Stella voleva essere legata”. La donna “abbastanza eccentrica [e] non particolarmente bella” circuisce il povero Alberto con movimenti strani e quasi meccanici e con un tipo di abbigliamento perturbante, “espressione di un gusto macabro e orrido”. Tra un whisky e l’altro, consumati al bancone del bar, la Morte, come l’ha soprannominata Alberto, riesce ad accalappiare l’uomo e a condurlo in quella cucina arancione dove le pareti sono pitturate di color arancione, un colore accecante, nauseante, opprimente, una tinta del tutto inusuale per una cucina dove la dominante viene ad essere un tipo di sessualità al limite della perversione e della violenza di genere. L’atteggiamento ingannevole di Stella non cerca la pace come nel caso di Lisistrata, ma è unicamente finalizzata al danno economico della preda che si ritrova a fare il barbone perché nel frattempo al donna si è appropriata di tutti i suoi averi.
La sessualità è energia che si esprime sotto forma di pensiero, di movimento, di sentimento, di passione perché “[c]’è qualcosa di profondo e terribile nelle potenzialità della sessualità che costringe la società a tenerla separata dalle altre sfere in quanto sembra ed è puro gioco, ma scatena reazioni che si svolgono sul registro del tutto e del nulla, della vita e della morte. Anche un semplice sguardo può mettere in moto desideri sfrenati, amore, odio, vendetta [mentre] la fascinazione é sempre un invito e un rifiuto, in definitiva una sfida. Per questo ha un effetto conturbante, inquietante, perché fa intravedere una modalità di esistenza beata” ( F. Alberoni).
“Chi ama non ha bisogno dell’atto sessuale per sentirsi felice” e non c’è nulla di magico o di divinatorio nella seduzione. Solo realtà. Realtà talvolta cruda, realtà di personaggi che sono persone e come persone soffrono quel “male di vivere” che spesso sfocia in patologie conclamate, conflitti e devianze, del tutto avversi alla vita e alla sua stessa natura.
Non c’è nulla di magico, solo un’approfondita conoscenza del saper tirare in disparte con allettamenti e lusinghe e suscitare un’attrazione viva e irresistibile.
Oltretutto “[l]a contemplazione del tempo è la chiave della vita umana. È il mistero irriducibile sul quale nessuna scienza fa presa” (S. Weil), dimensione temporale in cui è racchiusa la caratteristica più evidente di un’anima pura, caratteristica che, come afferma Pascal, è quella di amare con passione, senza parsimonia di sentimenti e la pochezza delle emozioni con cui l’uomo spesso gestisce le proprie relazioni. Tra l’altro l’uomo apatico è figura dei nostri giorni e rivela il modo di vivere di chi non sa affrontare con coraggio un sentimento forte e, non volendo correre rischi sentimentali, rinuncia alla ricerca e all’incontro per chiudersi nella fredda distanza.
«Se d’improvviso/ mi dimentichi,/ non cercarmi/ ché già ti avrò dimenticata/ Ma/ se un giorno,/ ogni ora/ senti che a me sei destinata/ in me tutto quel fuoco si ripete». (P. Neruda, “Se tu mi dimentichi”)
LUCIA BONANNI
1 Lucia Bonanni, in Rivista di Letteratura "Euterpe", anno 6, n. 18, gennaio 2016, pp. 38-42.
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