"Dante e i poeti", saggio dantesco di Francesca Luzzio
Dante e i poeti
(A conclusione del 750°anno della nascita di Dante Alighieri)
È possibile desumere molti percorsi tematici dalla Divina Commedia. Tra questi, particolarmente interessante è il percorso “Dante e i poeti”, poiché consente di capire in che misura e in qual modo i poeti del mondo classico, quelli provenzali e volgari anche a lui contemporanei, sono presenti nella Commedia.
Prima di addentrarci nella trattazione occorre rilevare che Dante nella Commedia esprime il momento di massima consapevolezza del proprio fare poetico e da ciò sicuramente deriva il metro valutativo de i suddetti poeti. Essi inoltre sono considerati da un lato come auctores e, in quanto tali, Dante fa riferimento alle loro opere, che così in vario modo e misura entrano nella trama del poema, dall’altro come personaggi e, in tal caso, rivestono funzioni allegoriche più ampie e comunque connesse al luogo ultraterreno in cui li colloca.
Premesso ciò, cominciamo dal mondo classico e, in quest’ambito non possiamo innanzitutto non occuparci di Virgilio, il poeta più importante nell’economia del poema. Egli è chiamato “l’altissimo poeta” (Inf. IV, v. 80), “Il savio gentil che tutto seppe” (Inf. VII, v. 3), il “mar di tutto ‘l senno” (Inf. VIII, v. 7), tuttavia al di là dell’affetto per l’uomo Virgilio e dell’ammirazione per la sua cultura, la presenza sia del testo virgiliano che della sua figura, dopo la massiccia presenza nella prima cantica , si attenua progressivamente. A questo proposito ricordiamo che Virgilio è un poeta pagano che nonostante, secondo l’interpretazione medioevale, sia arrivato a presentire la verità del Cristianesimo nell’Egloga IV, rimane pur sempre legato alla menzogna, “al tempo degli dei falsi e bugiardi”, come egli stesso sostiene nel verso 72 del canto I dell’Inferno.
Pertanto se a Virgilio viene attribuito l’aggettivo “dolce” (quattro occorrenze nell’inferno e ben dodici nel purgatorio) per diventare “dolcissimo padre” nel momento in cui Dante personaggio si accorge della sua scomparsa (purgatorio XXX, 50), Dante autore prende a varie riprese le distanze dal proprio modello sia come personaggio, sia come autore.
Virgilio in genere come personaggio, ossia come guida e allegoria della ragione, attraverso la ripetizione di un formulario pressoché fisso, riesce con efficienza razionale e sollecitudine, ad aiutare Dante nel suo cammino, anche se non mancano le difficoltà con i demoni che negano l’entrata nella città di Dite nel canto IX dell’inferno e poi con il demone Malacorda che fornisce false indicazioni sulla via d’accesso alle bolge (Inf. XXI, vv. 109-111), ma anche Virgilio autore viene smentito, quando, ad esempio, nell’episodio di Pier delle Vigne , dopo aver convinto Dante a staccare un ramo, così lo giustifica di fronte al dannato: “S’elli avesse potuto creder prima,/ rispuose ‘l savio mio, anima lesa,/ ciò c’ha veduto pur con la mia rima,/ non avrebbe in te la man distesa;/ ma la cosa incredibile mi fece / indurlo ad ovra ch’a me stesso pesa” (Inf. XIII, vv. 46-51). Virgilio, cioè confessa che la lettura di quello stesso episodio nella sua Eneide non è sufficiente a far fede della sua veridicità, perché egli è morto pagano, pertanto deve passare obbligatoria-mente per la diretta esperienza del pellegrino a dimostrare che non trattasi di favola pagana, ma di vicenda che vuole proporsi come reale.
Né mancano altre occasioni in cui Virgilio - personaggio pare smentire Virgilio -autore, ma ci limitiamo per amore di sintesi a citare ancora solo il canto XX dell’Inferno, in cui vengono narrate le pene degli indovini: ai versi (52-99) il poeta narra l’origine di Mantova dalla mitica Manto,figlia di Tiresia e non come attestato dall’Eneide (lX, 198-199) da Ocno,(figlio della stessa Manto).
Nel Purgatorio la strategia di ridimensionamento di Virgilio cambia. Innanzitutto sono presenti altre due figure che prendono a tratti la funzione di guida: Sordello, nei canti VI- IX e Stazio, nei canti XXI- XXXIII , dopo che Catone stesso ne aveva limitato l’autorità, rivolgendo a lui e a Dante (I canto) e alle anime che con loro si erano fermate ad ascoltare il canto di Casella (canto II), severi rimproveri. Virgilio stesso poi, a partire dal canto VI, comincia a rimandare a Beatrice la risposta a questioni particolarmente ardue che da Dante gli vengono poste, ad esempio nel canto XV del Purgatorio, nei versi 49-78, a proposito della spiegazione intorno all’effetto della carità divina nell’Empireo, la conclusione comporta un rimando a Beatrice: “e se la mia ragion non ti disfama,/ vedrai Beatrice, ed ella pienamente/ ti terrà questa e ciascun’altra brama”.
La progressiva assenza virgiliana viene ribadita anche sul piano della presenza testuale, se si prescinde dalla quasi citazione del “manibus date lilia plenis” del libro VI dell’Eneide, v. 883 (Anchise nei Campi Elisi onora la prematura scomparsa di Marcello, nipote di Augusto) nel canto XXX, v. 21 del Purgatorio all’apparire di Beatrice sul carro e dal successivo calco “conosco i segni dell’antica fiamma” (Purg. XXX, v. 48) che traduce la frase “agnosco veteris vestigia flamma” (Eneide, libro IV, v. 23), pronunciata da Didone, quando s’innamora di Enea.
Riassumendo quanto detto, possiamo sostenere che l’autorità dell’Eneide scema poiché essendo stata scritta prima dell’avvento di Gesù’ Cristo che ha rivelato la verità, l’Eneide è una menzogna nascosta sotto apparenza di verità.
Per gli altri poeti classici il discorso è più breve. La figura di Stazio è in funzione virgiliana perché nello stesso tempo ne accresce la drammaticità e ne conferma la superiorità. La drammaticità è accresciuta poiché Stazio si converte dopo la lettura della IV egloga che proprio Virgilio aveva scritto, senza che sortisse in lui, l’effetto che sortì poi su Stazio (Purg. XXII, vv. 64-66); la superiorità letteraria viene proposta non solo dalla Tebaide di Stazio, (XII, vv. 816-817) che si conclude con il riconoscimento dell’inarrivabilità dell’Eneide, ma Stazio stesso nello stesso canto del Purgatorio e nella stessa terzina, lo considera come colui che per primo lo indirizzò alla poesia.
Per quanto riguarda i poeti provenzali, essi sono molto presenti nella Commedia, essendo stati molto noti ai poeti italiani del tempo che li consideravano i loro diretti antecedenti. Già cospicuamente presenti nel De vulgari Eloquentia, ritornano e spesso con un mutamento di valutazione nella Commedia, opera nella quale, come si è già detto, Dante rivela la sua maggiore consapevolezza del fare poesia.
Nel XXVI canto del Purgatorio tra i lussuriosi, Dante incontra Guido Guinizzelli, che pur non essendo poeta provenzale, ma volgare, citiamo adesso perché è proprio lui che di fronte al caldo elogio e alle ansiose profferte del pellegrino Dante, si schermisce umilmente ed afferma che altri poeti romanzi hanno lasciato opere ben più degne della sua, in particolare Arnaldo Daniello che si trova nella sua schiera e fu certo “miglior fabbro del parlar materno”, checché ne dicano gli stolti che vorrebbero porre più in alto di lui l’altro trovatore Girardo di Bornelh e che esaltano irragionevolmente la maniera ormai superata di Guittone D’Arezzo (Purg. XXVI, vv. 91- 126). Polemica culturale e letteraria che nasce, come ha sostenuto Roncaglia, dalla coscienza di una superiorità morale e letteraria, faticosamente acquisita. L’accenno ai poeti provenzali non può concludersi senza citare Folchetto Di Marsiglia che si trova in posizione privilegiata, tra gli spiriti amanti del cielo di Venere e Sordello Da Goito che nella sua vita itinerante, nell’uso del provenzale come lingua poetica, al di là degli angusti confini dialettali e provinciali , esprime bene la comune vocazione all’unitarietà e fornisce a Dante nel canto VI del Purgatorio, l’occasione per giudicare severamente le discordie intestine dei potenti d’Italia (Purg. VI, vv. 58-65).
Tra i poeti volgari, ci sono anche compagni di strada di Dante.
Si è detto della condanna di Guittone D’Arezzo nel c. XXVI del Purgatorio, sebbene abbia sicuramente esercitato una indubbia influenza nella prima produzione dantesca ed indirettamente, abbiamo anche già parlato di Guido Guinizzelli, pertanto ci restano da ricordare Bonaggiunta Orbicciani e Guido Cavalcanti. Il primo, ancora legato agli stilemi della Scuola siciliana, presenta Dante come esponente della nuova corrente, lo Stilnovo (Purg, Canto XXIV, vv. 49-63), il secondo è il grande escluso dal novero dei poeti ricordati nei canti XXIV e XXVI del Purgatorio. Eppure nella Vita nova è Cavalcanti ad essere considerato primo amico di Dante, mentre già nel De Vulgari Eloquentia si assiste ad un cambiamento, infatti se nel XIII capitolo, 4 del I Libro, viene posto in testa al gruppo degli Stilnovisti, successivamente nel capitolo XVII, 3 dello stesso libro,viene escluso dal novero di coloro che poetarono perfettamente in volgare illustre. Tale esclusione s’inserisce in quel processo di maturazione dantesca del “fare poesia” e, sebbene Cavalcanti lo aiutò ad uscire dalla rudezza stilistica di Guittone, la frattura è stata resa inevitabile dal suo estremo razionalismo che lo portava a sottolineare gli aspetti più pessimistici della tematica amorosa.
Nella lirica “Donna me prega” Cavalcanti afferma che, poiché l’amore è da ricondurre ai sensi, il suo effetto è un ottenebramento della ragione, che può addirittura condurre alla morte (v. 35). Dante non condivideva una tale concezione e pertanto, già dalla Vita nova se ne dissocia. Quando dunque il pellegrino risponde al padre, Cavalcante dei Cavalcanti, allarmato per non vedere il figlio Guido al fianco dell’amico con queste parole “colui che attende là, per qui mi mena/ forse cui Guido ebbe a disdegno” (Inf, canto X, vv. 62-63), intende proprio sottolineare la mancata accettazione da parte di Cavalcanti, della possibilità di salvezza offerta dalla variante positiva dell’amore di cui è simbolo Beatrice.
Francesca Luzzio
Bibliografia
R. Merlante; S. Prandi, Salire alle stelle, La Scuola.
A. Ronconi, Per Dante interprete dei poeti latini in Studi danteschi.
I. Baldelli, Dante e i poeti fiorentini del Duecento, Le Monnier.
R. Hollander, Il Virgilio dantesco: tragedia nella Commedia, Olschki.
T. Barolini, Il miglior fabro. Dante e i poeti della Commedia, Bollati Boringhieri.
C. Giunta, La poesia italiana nell’età di Dante, Il Mulino.
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