"Viaggio nella sostanza divina", racconto di Silvia Calzolari
Viaggio nella sostanza divina1
(Racconto di Silvia Calzolari)
Le pettinava con delicatezza i capelli dal ricordo biondo, cercando di non farle male, per toglierle il sale residuo, dopo il tranquillo bagno fra le calme onde della baia, e le accarezzava il corpo, sciacquandolo con acqua dolce che scorreva fresca sull’esile corpo bianco.
Poca gente sulla cangiante spiaggia, in quelle prime ore del mattino, mentre la carrozzina di Vera era assicurata alla fine del sentiero, poco lontano da loro.
Era il primo viaggio dopo l’incidente, Zeno non avrebbe mai pensato d’intraprenderlo, anche solo pochi mesi prima. Ora era certo, Vera aveva riacquistato comprensione e ricordi, glielo mostrava ogni giorno sempre di più attraverso pochi gesti e rare parole che riusciva ad esprimere con grande fatica, ma con cognizione e precisione. Ora sì, era pronta al recuperato respiro, al nuovo percorso, a visioni da riscoprire e valorizzare diversamente.
Nel brusìo del paesaggio marino, in quel silenzio ritmato solo dagli elementi naturali e dalle voci di pescatori accovacciati sulle loro reti, lui le parlava a ruota a libera, attendendo con pazienza ogni sua flebile risposta o reazione, sorridendo e scherzando, sentendo la spinta giusta per catturare le sensazioni della sua amata.
Era davvero la prima volta in cui l’angoscia sembrava svanita e quel terrore di schianto e bisturi non lo tormentavano più nei sogni, come nei pensieri. Ne percepiva lo stupore profondo ed era una delle rare circostanze in cui lei, alla domanda: “Come ti senti?”, non rispondesse a voce fioca “Male”.
Indispensabile sopravvivere e vivere il possibile, ne percepiva più che mai l’urgenza, il desiderio e la necessità, dopo tanto dolore e fragilità. Molte volte aveva dubitato, si era chiesto come e perché, ma ormai i perché non avevano più senso, avevano senso il tocco, le piccole conquiste e ogni tentativo quotidiano di miglioramento e tranquillità d’esistere.
Non voleva arrendersi e lei, tanto più, non poteva, non avrebbe potuto e non doveva.
Con la scusa di comprare una bottiglia d’acqua minerale raggiunse il piccolo chiosco poco lontano e si accorse di avere qualche lacrima sul viso, uscita così senza che se ne accorgesse, in un’istintiva commozione che s’incrociava con la sua ispida barba.
Si ripeteva “smettila”, Vera non deve vederti piangere, ora non sei triste, ora sei felice e lei lo deve assorbire ed esprimere.
Respirava profondamente, cercando sollievo nell’aria frizzante come nei sorsi d’acqua di quella bottiglietta. Un vento tiepido e avvolgente liberava e scioglieva ogni pensiero negativo.
Prima che la temperatura sulla riva diventasse più pesante, le propose una passeggiata nella pineta attigua e si alzò per aiutarla a raggiungere la carrozzina. Vera non voleva spostarsi ed in uno scatto improvviso balbettò: “Male. Stanca. Dormire. Morire.” e lo fece indicando la sottile linea d’orizzonte tra cielo e mare.
Abbracciandola addolorato, cercò di scuoterla per allontanare quell’improvviso straziante grido. L’accarezzò cercando di sollevarla, ma il suo rifiuto era testardo e ripetuto. La sua espressione, un’ora prima apparentemente serena, si era trasformata in uno spasmo che lui riconosceva profondamente.
Fu un battito d’ali a distrarla dalla tristezza e a catturare lo sguardo di entrambi, un grande alato, un fenicottero rosa che si dirigeva verso nord. La mano di Vera si era spostata dall’orizzonte per indicare quel volo.
Zeno la sollevò piano e, senza indugio, la condusse alle sue due ruote, la fece sedere e cominciò a spingere la carrozzina, accelerò il passo e si ritrovò a correre.
Il sudore gli colava dalla fronte, lungo il petto e la schiena, ma le gambe non si fermavano e anche il respiro affannato non demordeva nella rincorsa di quel fenicottero rosa, che ormai sembrava scomparso oltre la pineta. Correva, correvano le ruote e correva Vera.
Terminato il sentiero fra pini marittimi e arbusti si trovarono sull’asfalto, proseguirono lungo la strada principale, sotto un sole che iniziava a pesare sulle loro teste.
Fu allora che si aprì davanti a loro una distesa enorme e accecante, mentre uno stormo di fenicotteri rosa si muoveva in lontananza.
Un lago di sale. Un’anima bianchissima di diamanti lucenti, perfettamente accostati, pregni di bellezza. Zeno, sbalordito, cominciò a vagheggiare, ad immaginare, a raccontare evocando flotte e civiltà, storie lontane, racconti di guerre, di antichi viaggi ed esistenze.
Le sue parole sgorgavano senza freno e inondavano di suggestioni Vera che ascoltava, confusa e ammaliata.
Sulla spessa coltre di sale iniziarono una marcia che divenne gioco e danza propiziatoria, pattinando, scivolando in un impazzito volo.
Lui si zittì, si fermò, raccolse qualche diamante di sale e ne diede uno alla sua amata, glielo fece leccare e gustare. “E’ la sostanza divina di Omero!”, le disse.
Raccolse le ultime energie e la fece sdraiare in quel lago solido e puro, mentre in alto il fenicottero rosa sembrava sorreggerla in un incredibile blu.
Vera lentamente si abbandonò e iniziò a nuotare, muovendo le sue membra pigre e stanche, toccando e tremando d’emozione, avvolta da una candida veste bianca.
Vide, sentì e strinse forte la mano di Zeno che rideva, rideva e rideva, come mai sino ad allora.
Rimasero affiancati, Zeno trattenne a sè le ali di Vera, meravigliose e senza meta, senza forza, senza più paura…nella loro piena “sostanza divina”.
Silvia Calzolari
1 Primo Premio - sez. Racconto breve inedito - aI Premio Internazionale di Prosa e Saggistica "La mia strada, la tua strada" Luca Lerario - Roma, 2015.
Lettura di Franco Picchini Francone