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Pro Letteratura e Cultura

“Ritratto di Grazia Deledda”, saggio di Francesca Santucci – Contest Letterario online Grazia Deledda 150 – PLC

31 Agosto 2022, 09:04am

Pubblicato da Emanuele Marcuccio

Contest Letterario online Grazia Deledda 150 – PLC

(Critica Letteraria)

 

 

 

Ritratto di Grazia Deledda

 

Saggio di Francesca Santucci

 

 

 

 

 

Grazia Deledda, nata a Nuoro il 27 settembre del 1871, non compì studi regolari, frequentò solo le elementari e poi, siccome a quel tempo l’istruzione alle donne non era permessa oltre le scuole primarie, continuò a studiare, prendendo lezioni private d’italiano, latino e francese, leggendo moltissimo, tutto quello che poteva trovare nella biblioteca paterna.

A sedici anni cominciò a scrivere, traendo spunto dalle persone che la circondavano, dal paesaggio e dalle tradizioni della sua Sardegna, e già le sue prime novelle scossero l’ambiente chiuso e provinciale nel quale viveva, ma fu «Elias Portolu», pubblicato nel 1903, che la consacrò ufficialmente scrittrice.

Dopo i trent’anni si stabilì col marito e i due figli a Roma, ma non si mescolò mai all’ambiente letterario della capitale, evitando, timida e riservata, di comparire in pubblico. Ben presto raggiunse una fama internazionale e, nel 1927, ottenne il premio Nobel per la letteratura ma, nonostante il prestigioso riconoscimento, non mutò le sue semplici abitudini, continuando a essere, prima di ogni altra cosa, moglie e madre, ruoli che svolgeva con austera moralità d’animo, espressa anche nelle sue opere.

Legata da un profondo amore verso la sua isola, ne descrisse con vigorosa espressività la gente, le sofferenze, i problemi, i costumi, le tradizioni, i riti, concentrata sui temi del sacro e della religiosità, sul fato, sull’amore che spesso comporta dolore e morte, sulla colpa, attraverso una copiosissima produzione letteraria, tra cui spiccano romanzi come: «Il vecchio della montagna» (1900), pietosa storia di un vecchio cieco, nella quale meravigliosamente si armonizzano dramma e poesia; «Elias Portolu» (1903), racconto altamente drammatico dell’amore colpevole di Elias per la bellissima moglie del proprio fratello; «Cenere» (1904) che narra il dramma di una madre che si toglie la vita per non ostacolare l’avvenire del figlio; «L’edera» (1908) vicenda della decadenza di una famiglia nobile e orgogliosa; «Marianna Sirca» (1915), tormentoso e proibito amore tra padrone e serva, osteggiato da norme sociali e culturali ; «La madre» (1920) , in cui, con accenti commossi, la Deledda delinea la lotta di una madre perché il figlio prete non sia trascinato dalla passione. Pubblicati postumi furono, nel 1937 l’autobiografia «Cosima», nel 1939 «Il cedro del Libano».

Ma il romanzo che più di ogni altro evidenzia le sue capacità, il suo impegno morale, il desiderio di sondare il cuore degli uomini, è sicuramente «Canne al vento», scritto nel 1913, in cui il vero protagonista è Efix, il servo fedele fino alla morte, che nulla per sé chiede e tutto dona. Tormentato dal rimorso per un delitto commesso involontariamente, non cerca giustificazioni, desideroso – timoroso di Dio – unicamente di espiare fino in fondo la sua colpa.

Nel personaggio di Efix la Deledda rispecchia fedelmente il sentimento fatalistico che accomuna le anime semplici e primitive, che si affidano alla sorte come a una forza ineluttabile e ciecamente accettano il proprio destino. Ben diversa è l’appassionata ma casta Noemi, fremente di ribellioni represse, che prepotente sente il richiamo dell’amore, ma vi si ribella, e che, delusa e disperata, accetta di sposare il ricco Don Predu soltanto per vincere la sorte maligna, piangendo in segreto le lacrime del suo rabbioso impossibile amore.

Qui, come in tutti i romanzi della Deledda, intensamente partecipe della vita degli uomini è la natura, aspra, selvaggia, animata dalle storie e superstizioni dell’arcana terra di Sardegna. L’autrice, con sensibilità e intuito, penetra nell’intimità dell’anima sarda, immergendo scene della vita comune e paesana in un’atmosfera leggendaria e inquietante che, tuttavia, esula dalla cornice regionale e rivela un’umanità fuori dal tempo e universale.

D’impronta verista fu l’ambientazione regionalistica, il rilievo accordato al paesaggio, ai costumi, al folclore, la documentazione sociologica, l’attenzione con cui ritrasse tipi ed aspetti, ma, sollecitata dai problemi religiosi e morali, la Deledda evitò sempre accuratamente il regionalismo, trasfigurando la sua isola in un luogo favoloso, fra suggestioni simboliche e liriche, che l’avvicinano a una sensibilità di tipo “decadente”, mentre l’insistenza su temi della colpa e dell’espiazione ricordano i grandi romanzieri russi.

E nella Deledda si ravvisano molti elementi che l’accomunano alla grande Emily Brontë (1818 – 1848): entrambe isolane, la Sardegna e l’Inghilterra, terre aspre e solitarie fortemente da loro amate, poetesse precoci, dotate di una potente forza immaginativa, straordinariamente capaci di sondare le zone d’ombra dell’animo umano, scrittrici di storie d’amore e di vendetta che, similmente, sdegnarono molti lettori del proprio tempo. Infatti Grazia Deledda, che tanto aveva amato la terra natale, negli ultimi anni della sua vita ebbe con i conterranei un rapporto conflittuale, rimproverata di averli descritto in un modo che li denigrava, perciò non espresse il desiderio di essere sepolta in Sardegna. Tuttavia nel 1960 un gruppo di intellettuali sardi si adoperò perché la sua salma fosse trasportata da Roma a Nuoro, e qui giace, nella chiesetta della Solitudine, ai piedi del monte Ortobene, immerso in un bellissimo paesaggio, adornato da una ricca vegetazione di querce, lecci, roverelle, olivastri, dove lei amava recarsi fin da ragazzina e che ispirò e intrise molti dei suoi romanzi.

Un giorno in una lettera così aveva descritto quel monte: “No, non è vero che l'Ortobene possa paragonarsi ad altre montagne; l'Ortobene è uno solo in tutto il mondo: è il nostro cuore, è l'anima nostra, il nostro carattere, tutto ciò che vi è di grande e di piccolo, di dolce e duro e aspro e doloroso in noi”[1].

Francesca Santucci

 

 

 

Il presente post con saggio breve di Francesca Santucci, si inserisce all’interno dell’iniziativa lanciata da questo blog denominata “Contest Letterario online Grazia Deledda 150 – PLC” il 18 dicembre 2021 dopo l’adesione del curatore del blog Emanuele Marcuccio al comitato celebrativo dei 150 anni dalla nascita di Grazia Deledda, costituito dalla Enciclopedia poetica online WikiPoesia” il 10 dicembre 2021. È possibile trovare tutte le informazioni per partecipare al contest letterario dedicato a Grazia Deledda con scadenza fissata al 10-12-2022, andando sul blog a questo link.

 

Locandina realizzata dal poeta Antonio Corona

 

 

Saggio pubblicato su autorizzazione dell’autrice Francesca Santucci che ha dichiarato, sotto la propria responsabilità, di essere proprietaria dei diritti sullo stesso e che la pubblicazione su questo blog è consentita dietro la propria autorizzazione. La pubblicazione – in forma integrale o di stralci – senza corretta attribuzione non è consentita, in assenza del permesso dell’autrice.

 

 

 

 

 

 

Francesca Santucci, studiosa dell’antico e del femminile, che da anni divulga attraverso i suoi libri e sul suo sito, è autrice di saggi, poesie, racconti e fiabe. Appassionata delle sorelle Brontë, ha pubblicato articoli sul notiziario italiano della Brontë Society e nel 2012 ha vinto il Concorso Letterario De Leo-Brontë per la sezione Racconti con “Il mio mondo”, ispirato a Emily Brontë. Premiata in diversi concorsi, nel 2021 si è classificata al secondo posto al Premio Dragut con il racconto “Storia di Cosima” e ha vinto ex aequo il contest letterario di poesia “Il matrimonio di Mara” promosso da Oubliette Magazine e dalla casa editrice Tomarchio. Tra le sue pubblicazioni più importanti si ricordano le seguenti raccolte di saggi: Storie di donne (Apollo, 2019); Il mondo di Emily Brontë (Kimerik, 2018), per il quale nel 2019 la Kimerik ha ricevuto la menzione speciale per il premio Microeditoria di qualità nella sezione Saggistica; Donne di Caravaggio (Kimerik, 2015), libro finalista al “Concorso Letterario Nazionale Cinquantesimo Marcelli”; Che quanto piace al mondo è breve sogno (Kimerik, 2011); Suggestioni e meraviglie (Kimerik, 2009); Messaggi dall’antichità (Kimerik, 2005).

 


[1] Lettera di Grazia Deledda (Premio Nobel per la letteratura nel 1926) a Salvator Ruju, Nuoro, 5 settembre 1905.


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